Emozione e ragione: a che punto siamo? L’errore di Cartesio
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tutte le immagini a corredo sono prese da Heart and Brain Libro di Nick Seluk
(Ripropongo qui, un breve articolo che trovava posto sul precedente blog di filosofia)
E quando chiedo a che punto siamo non penso tanto allo stato dell’arte e quindi alle ricerche che continuano a correggere, prospettare, suggerire, indagare, sottoporre a verifiche, quanto a ciò che ognuno di noi pensa e crede quando in ballo ci sono le emozioni e la ragione.
Talvolta vengono infatti passati messaggi ambigui e il biasimo va a quegli addetti ai lavori che continuano a cavalcare un’onda non propriamente corretta perché ampiamente smentita che ha però il pregio di far breccia nell’immaginario collettivo non turbandone la visione. Non voglio qui analizzare le motivazioni di chi ha fermato l’orologio del tempo delle ricerche neuroscientifiche ma piuttosto sollecitare la riflessione su di un tema che pare ancora avvolto nella nebbia per gran parte del grande pubblico.
Si incontra molta dossografia sul binomio ragione/sentimento e questa genera una stratificazione di errori nei quali poi tutti inciampiamo. “E’ una lotta continua tra ragione e sentimento”, “ho pensato troppo: dovevo invece usare il cuore”. Quante volte abbiamo sentito dire queste cose di questo genere.
Lo stesso linguaggio iconico ci solleva dalla fatica di pensarla diversamente, rassicurandoci, divertendoci certo, ma finendo per l’accompagnarci sulla strada dell’errore, suffragandolo.
Non nascondo che mi assale un moto particolarmente fastidioso ogniqualvolta sento con tanta sicurezza pronunciare frasi riguardo all’insanabile dualità di cui siamo vittime. E’ vox populi che ragione e sentimento siano separati e nonostante la pregevole letteratura scientifica si perpetua la storia che la ragione sia andata a farsi un giretto quando ci innamoriamo e altrettanto latitante sia il sentimento quando siamo lucidi e coerenti.

Ma stanno davvero così le cose?
Damasio, neurologo e neuroscienziato portoghese, più di venti anni fa – esattamente nel 1994 – ha dato alla luce il libro L’errore di Cartesio dove, per la gioia di chi vorrà approfondire, vengono messe sotto attento esame emozione, ragione e cervello umano – per chi è un appassionato del genere, ricordo che ad aprile 2018 è uscito il suo nuovo libro Lo strano ordine delle cose-.
A ruota usciva il libro di Goleman L’intelligenza emotiva divenuto subito un bestseller soprattutto in America dove rappresentò un vero e proprio cambio di paradigma rispetto ad una cultura in cui imperava il quoziente intellettivo a scapito delle emozioni, sinonimo di variabilità e quindi instabilità. Naturalmente il testo di Goleman ebbe maggior successo perché più godibile nonostante più modesto e, aggiungerei, non privo di qualche pretesa da guru.
Il nostro Damasio dunque, partendo da lontano, da un caso storico, ci spiega in quale errore sarebbe caduto Cartesio: nel 1848, l’operaio venticinquenne Phineas Cage, per un incidente sul lavoro riporta una lesione cerebrale piuttosto significativa – immaginate una barra di ferro di 110 cm, del diametro di 3 cm e del peso di 6 kg che attraversa un cranio per ricadere a terra lasciando comunque vivo il malcapitato -. A seguito della sciagura, la personalità di Phineas ne esce completamente e drammaticamente stravolta, tanto che amici e conoscenti stentano a riconoscerlo. Phineas, scrive Damasio, oltre ad essere diventato scurrile, nervoso, socialmente disadattato, aveva perso qualcosa di peculiarmente umano: la capacità di pianificare il proprio futuro come essere sociale.
Questo l’antefatto che funge da ispirazione per una ricerca sul funzionamento e le interazioni tra le varie parti del cervello il cui punto cruciale è la messa in crisi del modello di gerarchizzazione che presupponiamo con Cartesio e che non corrisponde alla realtà dei fatti poiché il lavoro compiuto dalle emozioni, dalla ragione e dal corpo è sinergico. Non a caso Damasio sostiene:
Non è solo la separazione tra mente e cervello a essere mitica: probabilmente anche la separazione tra mente e corpo è altrettanto fittizia. La mente è incorporata, nel senso più pieno del termine, non soltanto intrisa nel cervello.
Il lutto è un esempio di interazione mente/corpo nella quale si assiste ad un abbassamento del livello immunitario tale per cui è più facile contrarre infezioni o addirittura sviluppare forme di cancro. Di cuore spezzato si può morire afferma Damasio e la scienza può dimostrarlo e spiegarlo laddove la poesia può solo evocarlo con un’immagine.
Non si tratta quindi più di pensare in termini dualistici ma di cooperazione. Il cammino che dal platonismo prosegue con il cristianesimo e conduce a Cartesio sembra così interrompersi grazie alle neuroscienze. Che l’impresa sia stata ardua ce lo racconta nella prefazione:
Nel complesso, l’idea fu ampiamente accettata al punto che in qualche occasione ne uscì deformata. Io per esempio non ho mai suggerito che l’emozione sia un sostituto del ragionamento; in alcune divulgazioni superficiali del mio lavoro, però, sembrava che io proponessi proprio quello; se la gente avesse seguito il cuore, invece della ragione, tutto sarebbe andato per il meglio.
O al contrario:
Devo insistere su questo punto perché spesso basta menzionare i sentimenti per evocare un’immagine di sollecitudine auto-orientata, di noncuranza per il mondo esterno, di indulgenza verso livelli meno alti di prestazione intellettuale
Che effetto ci fa, dunque sapere che ogniqualvolta diciamo di “seguire il cuore” stiamo in realtà dicendo qualcosa che, pur dall’indubbio sapore romantico, non corrisponde a realtà? E cosa ne pensiamo del fatto che, contrariamente a quanto siamo portati a pensare, una riduzione dell’emozione può costituire una fonte ugualmente significativa di comportamento irrazionale?
Damasio ci mette in guardia: non esiste una risposta in termini di ragione pura così come non esistono risposte emozionali pure: si tratta di un intreccio che ci rende quelli che siamo, nel bene e nel male.
E qui potremmo avviare una discussione interessante sulle azioni che gli uomini compiono chiedendoci se alcune siano o meno imputabili ad una “disfunzione” e se individui che presentino determinate “configurazioni cerebrali”, così come le chiama Damasio, siano detentori di libero arbitrio, di responsabilità e quindi quali siano le riflessioni etiche-morali che ne dovrebbero discendere. Un tema non da poco se si considera che certe azioni hanno pesanti ricadute in termini di provvedimenti sociali:
Siamo circondati da molti Gage e colpisce che tutti siano precipitati da una condizione di grazia sociale, con modalità simili. Alcuni sono affetti da menomazioni al cervello in conseguenza di tumori, altri a causa di ferite alla testa, altri ancora per disturbi neurologici. Ma poi vi sono quelli che non hanno subito alcun disturbo neurologico manifesto, e tuttavia si comportano come Gage, per ragioni che hanno a che fare con il loro cervello o con la società nella quale sono nati. E’ necessario comprendere la natura di queste persone, le cui azioni possono essere distruttive per loro stesse e per gli altri, se si vuole dare una soluzione umana ai problemi che essi pongono. Né la carcerazione né la pena di morte contribuiscono a farci capire, o risolvere, il problema.
Restando per adesso sulla questione ragione/sentimento, la strada appare comunque stimolante da percorrere perché messi di fronte all’eventualità che le cose non stiano esattamente come pensiamo è obbligo interrogarci:
1) sul tipo di visione della realtà: se la visione è parziale o inesatta formuliamo giudizi che crediamo fondati laddove sono invece opinioni, come credere appunto che ragione ed emozione siano irrimediabilmente scisse.
2) sulla validità delle giustificazioni delle azioni che compiamo e su ciò che pensiamo; è corretto dire che quando mi innamoro è solo il cuore che parla esclusivamente attraverso le sue ragioni?
Purtroppo le neuroscienze non godono della risonanza mediatica che la nostra cultura offre ad altri generi letterari e così finiamo spesso per accontentarci delle frettolose informazioni di seconda mano che scorretti veicoli di informazione ci propinano e che rendono debole, aggredibile il tessuto sociale trasformando l’individuo in cliente e consumatore di un prodotto mediocre ed ordinario spesso venduto in pillole.
Ma riprendiamo quindi dai casi di Damasio – anche la storia di Elliot è tanto appassionante quanto dolorosa per i risvolti umani – descritti in maniera particolareggiata e scopriamo qualcosa che forse non ci aspette